Santa Maria di Vezzolano, il chiostro e gli affreschi

I quattro lati del chiostro risalgono a periodi diversi (XII-XIII-XV e successivi), il più antico quello a ovest con tozze colonne bicrome alternate ad esili colonnine in arenaria che sorreggono archetti a sesto leggermente acuto: il braccio nord, ricavato dalla navata sud della chiesa, è scandito in cinque campate con volte a crociera con sottili cordolature tinte di rosso, con arcate divise in due da slanciate colonne in pietra, e vi è conservato un importante ciclo di affreschi (XII-XVI secolo). Diversi locali si affacciano sul chiostro, ma le modifiche subite nel tempo rendono difficile l’individuazione delle originarie destinazioni d’uso, fatta salva la sala capitolare: a pianta quadrangolare, è supposta far parte del primitivo assetto del complesso ed è terminata da una piccola abside (ricostruita negli anni cinquanta del Novecento). (foto Il Trabucco)

Gli affreschi del chiostro, pur se lacunosi, costituiscono un cospicuo corpus nell’ambito della cultura pittorica medievale del Piemonte, in un periodo all’incirca circoscritto tra il 1240-50 (terza e quarta campata), al 1354, anni in cui fu eseguita nella seconda campata (sepolcreto dei Rivalba) l’Adorazione dei Magi, opera del così nominato Maestro di Montiglio, per la riconosciuta identità di mano con la cappella di Sant’Andrea presso il castello di Montiglio; nella stessa parete, nel registro inferiore, una raffigurazione del Contrasto dei tre vivi e dei tre morti. Tale particolare scena, nella quale un monaco indica a tre atterriti cavalieri tre scheletri e una chiesa, nel passato si volle intendere come racconto di una supposta partecipazione alla costruzione della chiesa da parte di Carlo Magno che, colto da malore durante una caccia intorno nei boschi intorno a Vezzolano, aveva fatto voto alla Madonna di erigere in quel sito una chiesa. Ciò trattasi di pura leggenda, mentre tale rappresentazione, che compare assai mutila anche nella cappella dei Radicati, è da far rientrare nel clima cavalleresco che in epoca federiciana faceva convergere nell’ars venandi le qualità del signore: la presenza dei tre scheletri si pone come un monito religioso da contrapporsi alla laicità del viver gentile.